Villa Godi-Malinverni

Le ville del Palladio.


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Le ville venete


Con questa lezione e la seguente, noi andremo a finire il ns. excursus sull’opera palladiana e poi potremo iniziare a parlare con più precisione di palladianesimo e prenderemo di misura questo fenomeno su cui ancora oggi molto si dibatte e che non sempre viene interpretato in modo identico, a seconda delle varie scuole critiche. Quindi affronteremo il discorso abbastanza spinoso e complesso.


 

Villa Godi Malinverni

La prima opera di Palladio che noi prendiamo in considerazione è Villa Godi Malinverni di Lugo Vicentino.
Come potete vedere, la villa si presenta estremamente massiccia, come una villa ancora molto chiusa.
Siamo intorno agli anni 1540 e Vicenza già da un secolo circa è stata conglobata nella Serenissima Repubblica. L’economia vicentina dopo la guerra di Cambrai ha ripreso a girare a pieno regime, ma la presenza delle nobili famiglie sul territorio è ancora marcatamente connotata in questa villa da una riminiscenza, da un ricordo difensivo.
La villa infatti si struttura con due avancorpi - due corpi laterali avanzati - aggettanti, che possono ricordare proprio per la loro struttura quelle angolari difensive degli antichi manieri, degli antichi castelli.


Se noi facciamo mente locale alla nostra immediata periferia, riusciamo a sovrapporre questa immagine a quella di Villa Cricoli, dove Andrea della Gondola, non ancora Palladio aveva conosciuto Giangiorgio Trissino, ed era impegnato in un restyling di questa villa che avrebbe ospitato un’ Accademia e che è imperniata proprio su quattro torri angolari difensive di vecchia memoria ed un blocco centrale in cui sul ricordo della Farnesina di Raffaello a Roma si è creata la Loggia.
Qui Palladio nel suo primo edificio documentato dal punto di vista delle firme e dei disegni, recupera quell’idea di villa, perché gioca con tre volumi, di cui due li avanziamo ed uno lo arretriamo.
Praticamente ha tre moduli che muove facendoli scorrere nello spazio: una tipologia estremamente semplice e lineare che incomincia a modificarsi solamente nella facciata.
Nel volume centrale arretrato, noi possiamo identificare quello che sarà un motivo-firma di una tipologia di villa che Palladio riproporrà abbastanza spesso nella prima parte della sua vita.
Questo è il riprendere dall’antichità romana i tre fornici, cioè le tre aperture dell’Arco Trionfale, che abbiamo già visto nella facciata del Teatro Olimpico. Abbiamo quindi la triplice apertura al piano nobile, mentre la scalea unisce il pianterreno con il loggiato che si apre dietro a questo triplice fornice.


Un triplice fornice a ritmo molto serrato, perché l’apertura sulla quale si affaccia è molto stretta, per cui il ritmo è molto ravvicinato. Non dà quindi una sensazione di spaziosità, il senso di ritmo, di artico-lazione, ma ha questo blocco che mi interessa farvi notare come si riprenda a pianterreno. E questo discorso di apertura dietro cui troviamo un vano unico rispondente al loggiato, che passa anche sotto la scalea, dove possiamo entrare ed uscire. Lo vedremo poi studiando il palladianesimo che si fonda sull’aver studiato le architetture del Palladio in loco, a Vicenza o nelle campagne circostanti, oppure attraverso i quattro libri, e farne proprii, assimilarne i concetti fondamentali di ritmo e di distribuzione ed organizzarli secondo la funzionalità e le esigenze di territori e committenti diversi. Non è tanto quel palladianesimo di tipo imitativo per cui si prende una tipologia di finestra e la si appiccica da un’altra parte, che è quello che stanno facendo alcuni dei nostri architetti che hanno scoperto che sopra le finestre il Palladio metteva i timpani o trabeazioni, o una cornice centinata e che stanno rifacendo nei palazzi moderni come se questo nobilitasse l’edificio. Il palladianesimo è aver meditato sull’architettura del Palladio e proporre in modo autonomo. Questo lo dico perché, quando noi andremo al Nord troveremo spesso al pianterreno, ampliate nel ritmo, delle aperture nelle quali le carrozze entrano, girano ed escono dall’altra parte, utilizzando lo stesso meccanismo di spazio, di risulta sotto la scalea, che Palladio incomincia a presentare in questa villa e che verrà utilizzato nei paesi del nord dove piove quasi tutti i giorni o nevica quasi tutto l’inverno, per cui c’è la necessità che le carrozze possano entrare in un androne coperto ed uscirne senza nessun disagio per gli occupanti.

 

Allora scalea e loggiato, che si apre in modo meraviglioso verso la campagna, dandoci un altro spunto importante, perché Palladio studia le architetture classiche ed è classificato un classicista, studia Vitruvio, l’architettura romana, studia soprattutto lo strettissimo rapporto che si instaura tra l’edificio e l’ambiente circostante. Voi ricorderete che i romani, prima di costruire interrogavano la divinità del luogo, per sapere se era favorevole oppure no alla nuova edificazione: si invocava la divinità per avere i numi tutelari sulla nuova casa.


Sembra che Palladio, come gli antichi romani, cerchi di mettersi in assoluto contatto, in simbiosi, creare un’empatia tra il suo edificio e l’ambiente. Questa corrispondenza, questa continua comunicazione interno-esterno tra gli ambienti palladiani e la natura circostante è una di quelle altre eredità che non possiamo verificare nel costruito, nel mattone o nel marmo, ma che ci farà parlare di palladianesimo ogniqualvolta l’edificio si ponga in sintonia, in relazione e soprattutto giochi con la luce attraverso arcate, porticati, loggiati, come in questo caso.

Subentra anche la bravura del pittore che è Da Verona, il quale ha creato queste strutture a pilastro con busto di divinità che sorreggono il dado con cui si impernia il nostro pennacchio da cui poi partirà la volta a botte della Loggia sul quale vengono tinte secondo il modulo delle grottesche queste donne cariatidi che sostengono a loro volta la finta trabeazione e quindi una illusione che crea una spazialità, un’architettura aggiunta a questo straordinario loggiato.

 

Le piante sono sempre un po’ più complesse da trattare. Le ho inserite nel percorso perché ne leggeremo alcune che possono aiutarci a decifrare l’idea palladiana di villa. Qui vedete il nucleo centrale: la scalea, i due locali laterali; sotto la scalea c’è il passaggio. Vedete la loggia con il balaustro alla veneta del piano superiore, la grande sala e i quattro piccoli ambienti a destra speculari ai quattro ambienti di sinistra, con una distribuzione dello spazio estremamente razionale.

 
Anche questo è un altro di quei punti di fronte al quale noi potremo parlare di palladianesimo, perché è con Palladio che si razionalizza la distribuzione degli spazi interni.
Mentre prima ed anche con gli artisti a lui contemporanei, cito Michelangelo, Raffaello, Giulio Romano tanto per prendere tre artisti ben noti, la distribuzione degli spazi poteva essere più casuale, Palladio proprio sulla matrice dei suoi studi derivati dal testo di Vitruvio ha una distribuzione estremamente organizzata, sempre simmetrica degli ambienti.
Quando noi a partire dal 1600 ci troviamo di fronte a strutture così organizzate e funzionali dello spazio interno, questo è sicuramente di derivazione palladiana.
Quindi siamo di fronte ad un artista che ha comunque conosciuto le piante di Palladio. Tant’è vero che in tutti gli stati stranieri la prima cosa che gli architetti studiano di Palladio e riproducono, sono proprio le piante modulari, cioè l’articolazione modulare delle sue piante: le moltiplicano, le riducono, le ampliano, le doppiano, proprio per aggregazione di moduli.
Altra cosa interessante da notare: se la fronte arretra, la facciata posteriore aggetta.
Vediamo poi che c’è un muro che in qualche modo definisce e delimita lo spazio frontale del giardino riservato alla pertinenza diretta della villa.
La parte più elegante, più utilizzata dal punto di vista della passeggiata, doveva essere secondo Palladio, la parte posteriore più protetta. Perché se noi notiamo la villa aveva una piccolissima struttura muraria, tipo barchessa laterale, dalla quale poi si dipartiva questo ampio porticato, in modo da avere una passeggiata coperta, invernale ed estiva, sul modello del criptoportico che noi abbiamo a Vicenza e che nelle ville romane poteva essere coperto per l’inverno od il classico peristilio colonnato estivo.

Tutta questa parte indubbiamente non è stata costruita, come non è stato costruito il ninfeo che doveva chiudere la parte posteriore della villa. E’ stata edificata solo una piccola porzione della barchessa, mentre dall’altra parte non sono state costruite, ci sono solo nel progetto ed erano riferite proprio alle attività agricole perché in uno dei progetti sono presenti cinque stalli per le poste dei cavalli. Quindi articolate ed anche previste le varie funzioni.

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